Il settore dell’agricoltura montana, che nei secoli ha contributo a plasmare (e governare) il paesaggio culturale delle Alpi, ha affrontato in pochi decenni importanti cambiamenti. I flussi demografici, le dinamiche del mercato, l’emergenza dell’importanza di altri settori sono stati gli elementi principali a cui si sono intersecati anche strumenti e strategie di programmazione multi-territoriale. In molti territori questo ha innescato un circuito vizioso che è andato ad intaccare il patrimonio tangibile dell’opera contadina in montagna (abitazioni, malghe, terrazzamenti, pascoli e foreste) ma anche quello intangibile con una rarefazione di una serie di conoscenze identitarie (non solo rispetto alle modalità di organizzazione e produzione ma anche rispetto alla flora e fauna) Negli ultimi anni si è assistito ad un rinnovato interesse verso le pratiche agricole. Sia da parte di chi si è insediato in montagna ma anche di coloro che li vi affondano le proprie radici. Uno spirito di cambiamento che è stato portato avanti da chi voleva innovare e che ha portato idee nuove. Questa ondata positiva si scontra però ancora con una serie di barriere che talvolta sono classificabili come antropologiche. In altri casi invece le modalità di risposta sono state capaci di attivare nuove reti di relazione e di collaborazione. Nuove essenze, nuove colture (anche grazie al progresso nelle conoscenze ma anche ai cambiamenti climatici in corso) ed una maggiore volontà di affrontare in modo diverso la multi-funzionalità delle aziende agricole sono alcuni degli elementi caratterizzanti questo processo di cambiamento. In una agricoltura che cambia non vi è solo l’ospitalità ma anche forme di attenzione verso la sfera sociale e quella culturale. L’azione di chi si vuole impegnare in questo “new farming” servirà anche per tornare ad un governo attivo del territorio, lasciato in molte zone all’incuria ed all’abbandono, non solo valorizzando le potenzialità delle risorse presenti e potenzialmente generando una prevenzione verso i rischi che potrebbero generarsi con eventi estremi come alluvioni o incendi. Laddove non siano già presenti (anche se magari in forma latente) vi sono nuovi spazi per lo sviluppo di una gestione comunitaria del territorio montano. Con l’ambizione che quello che si sta realizzando possa avere realmente una finalità di educazione alla cittadinanza/permanenza montana. In questo contributo si farà riferimento a casi studio approfonditi nel territorio del Trentino e delle regioni contigue del Veneto e Lombardia, oltre che a casi più consolidati in essere in Friuli Venezia Giulia e nell’Appennino.
Gretter, A. (2018). Una nuova agricoltura per animare le comunità alpine. In: Ferrario, V.; Marzo, M.; Bertini, V.; Geronta, C. (a cura di), Convegno internazionale La Montagna che produce: paesaggi, attori, flussi prospettive = International conference Productive mountains: landscape, actors, flows perspectives, Venezia, Val Comelico, 21-23 giugno 2018. Venezia: Università IUAV di Venezia: 70-71. ISBN: 9788899243517. url: https://www.alpinenetwork.org/wp-content/uploads/2018/06/productivemountains_2018_BOOK-OF-ABSTRACTS.pdf handle: http://hdl.handle.net/10449/52169
Una nuova agricoltura per animare le comunità alpine
Gretter, A
2018-01-01
Abstract
Il settore dell’agricoltura montana, che nei secoli ha contributo a plasmare (e governare) il paesaggio culturale delle Alpi, ha affrontato in pochi decenni importanti cambiamenti. I flussi demografici, le dinamiche del mercato, l’emergenza dell’importanza di altri settori sono stati gli elementi principali a cui si sono intersecati anche strumenti e strategie di programmazione multi-territoriale. In molti territori questo ha innescato un circuito vizioso che è andato ad intaccare il patrimonio tangibile dell’opera contadina in montagna (abitazioni, malghe, terrazzamenti, pascoli e foreste) ma anche quello intangibile con una rarefazione di una serie di conoscenze identitarie (non solo rispetto alle modalità di organizzazione e produzione ma anche rispetto alla flora e fauna) Negli ultimi anni si è assistito ad un rinnovato interesse verso le pratiche agricole. Sia da parte di chi si è insediato in montagna ma anche di coloro che li vi affondano le proprie radici. Uno spirito di cambiamento che è stato portato avanti da chi voleva innovare e che ha portato idee nuove. Questa ondata positiva si scontra però ancora con una serie di barriere che talvolta sono classificabili come antropologiche. In altri casi invece le modalità di risposta sono state capaci di attivare nuove reti di relazione e di collaborazione. Nuove essenze, nuove colture (anche grazie al progresso nelle conoscenze ma anche ai cambiamenti climatici in corso) ed una maggiore volontà di affrontare in modo diverso la multi-funzionalità delle aziende agricole sono alcuni degli elementi caratterizzanti questo processo di cambiamento. In una agricoltura che cambia non vi è solo l’ospitalità ma anche forme di attenzione verso la sfera sociale e quella culturale. L’azione di chi si vuole impegnare in questo “new farming” servirà anche per tornare ad un governo attivo del territorio, lasciato in molte zone all’incuria ed all’abbandono, non solo valorizzando le potenzialità delle risorse presenti e potenzialmente generando una prevenzione verso i rischi che potrebbero generarsi con eventi estremi come alluvioni o incendi. Laddove non siano già presenti (anche se magari in forma latente) vi sono nuovi spazi per lo sviluppo di una gestione comunitaria del territorio montano. Con l’ambizione che quello che si sta realizzando possa avere realmente una finalità di educazione alla cittadinanza/permanenza montana. In questo contributo si farà riferimento a casi studio approfonditi nel territorio del Trentino e delle regioni contigue del Veneto e Lombardia, oltre che a casi più consolidati in essere in Friuli Venezia Giulia e nell’Appennino.File | Dimensione | Formato | |
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